“Il secondo figlio di Dio” di S. Cristicchi

“Ogni sogno ha una voce precisa, e sta dentro ognuno di noi. Solo i matti, i poeti, i rivoluzionari, non smettono mai di sentirla, quella voce. E a forza di dargli retta, magari poi ci provano davvero a cambiarlo, il mondo.”
Il secondo figlio di Dio – Vita, morte e miracoli di David Lazzaretti è prima un libro, poi una rappresentazione teatrale di Simone Cristicchi.
Vi consiglio questo spettacolo per i contenuti e gli ideali trasmessi, per gli allestimenti scenografici e per la bravura di Simone Cristicchi, che dimostra una capacità attoriale degna di nota.
Lasciatevi accompagnare in quel tempo e in quella storia dalle parole di Mariaelena Prinzi che ha scritto questa recensione.

Era forse folle David Lazzaretti che in quello scorcio di Ottocento voleva mettere in pratica “alla lettera” il messaggio evangelico?

E’ la storia di un “barrocciaio” di Arcidosso, un paesucolo di una manciata di case aggrappate ostinatamente sul colle Amiata. Sa leggere perché l’arciprete del paese glielo ha insegnato. E così divora qualsiasi libro gli capiti a tiro. Quando è soltanto un bambino ha la prima visione di un frate vestito di bianco, ma, come gli chiede l’uomo misterioso, non ne farà parola con anima viva.

Comincia a viaggiare, perché un carrettiere parte sempre, sia col sole che con la pioggia.

E’ una vita da bestia, come dirà il cantore di questa storia, ma almeno si viaggia.

E’ così che David impara a decifrare quel grande libro che è la Natura.

E’ un sognatore, come dirà la moglie Carola, non ci sa stare con i piedi per terra, perché lui “il vulcano ce l’ha dentro”. E poi la seconda visione, sempre lo stesso frate che gli affida una missione, l’incontro con Pio IX e la fondazione di una nuova comunità, che culmina con la  “Società delle Famiglie Cristiane”: una società più giusta, fondata sull’ istruzione, sulla cooperazione,sulla solidarietà e sull’uguaglianza.

E così  trasforma la realtà di quei piccoli contadini di Arcidosso e della Maremma, che a malapena riuscivano a strappare alla terra ciò di cui vivere, in una comunità autosufficiente, dove il vero capitale è l’uomo.

 

Cristicchi è il menestrello di questa vicenda. Alternando una varietà di personaggi, servendosi soltanto della sua straordinaria voce e della sua raffinata capacità attoriale, riporta sulla scena tutti i protagonisti di questa “strana storia”. Insieme a lui sul palco, un carro di fine Ottocento che all’occorrenza è mezzo di trasporto, trono di Pio IX, chiesa in costruzione e quant’altro. Il menestrello o cantattore o semplicemente attore, impossibile circoscriverlo a una definizione, non si ferma un istante, smontando e rimontando questo carro che è vivo e coprotagonista insieme a lui della scena. La regia di Antonio Calenda è impeccabile, dirige con mano sicura il suo attore, costruendogli attorno, complice questa particolare scelta scenografica, il suo mondo. Un binomio assolutamente riuscito quello Cristicchi – Calenda, uno spettacolo coinvolgente, privo di sbavature, tempi morti e leziosismi; per nulla scalfito dal raccontare una storia così poco teatrale.

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